Arbitrato
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SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2 Il dovere degli arbitri di rendere note le situazioni d’incompatibilità (§ 1036 c. 1 ZPO). – 3. I motivi di ricusazione degli arbitri (§ 1036 c. 2 ZPO). – 4. Il procedimento di ricusazione degli arbitri (§ 1037 cc. 1 e 2 ZPO). – 5. La decisione dell’autorità giudiziaria sulla ricusazione (§ 1037 c. 3 ZPO).
1. - Il processo civile deve garantire che i soggetti chiamati a rendere il giudizio siano imparziali e indipendenti. Il principio della terzietà del giudicante è universale. Il fine perseguito dalle disposizioni che assicurano imparzialità e indipendenza del giudice è di rango pubblicistico: assicurare il buon funzionamento della giustizia. Laddove tale terzietà - nel caso specifico - non sia garantita, l’ordinamento interviene con istituti idonei a ripristinarla, in particolare con il meccanismo della ricusazione, ossia la possibilità per chi deve essere giudicato di chiedere che venga cambiato il giudice che non presenta il necessario livello di imparzialità e indipendenza.
Il principio della terzietà dell’organo giudicante trova espressione non solo nel processo civile ordinario ma anche nel procedimento arbitrale.
Così come in Italia anche in Germania esistono apposite regole miranti a garantire imparzialità e indipendenza sia dei giudici sia degli arbitri.
In questo articolo ci si occupa della disciplina tedesca in materia di ricusazione dell’arbitro . La ricusazione è uno strumento importante anche nel contesto dell’arbitrato in considerazione del fatto che il lodo ha fra le parti gli effetti di una sentenza passata in giudicato (§ 1055 ZPO ). La funzione esercitata dagli arbitri è assimilabile a quella svolta dai giudici statali, ragione importante per assicurare fin dall’inizio che essi siano imparziali e indipendenti. A ciò si aggiunga che talvolta i lodi emessi in Germania sono destinati a essere riconosciuti ed eseguiti in altri ordinamenti. Dubbi sulla reale terzietà degli arbitri possono rendere difficile l’esecuzione dei lodi all’estero, ragione importante per assicurare la massima imparzialità e indipendenza possibile degli arbitri.
Nell’ordinamento tedesco la materia della ricusazione degli arbitri è disciplinata nei §§ 1036-1037 del codice di procedura civile, Zivilprozessordnung, ZPO ). Oltre che sulle disposizioni di legge in questo articolo si relazionerà su alcuni significativi interventi della più recente giurisprudenza in materia.
2. - La prima regola prevista dal diritto tedesco in materia di ricusazione degli arbitri è che la persona cui viene affidato l’incarico di arbitro deve rendere note tutte le circostanze che possono sollevare dubbi sulla sua imparzialità e indipendenza (§ 1036 c. 1 frase 1 ZPO).
Questa disposizione si giustifica con la stessa essenza del procedimento arbitrale, che vede gli arbitri non precostituiti per legge, ma – di norma - scelti dalle parti. Nel processo civile ordinario vi è un giudice naturale dato in base alle norme sulla competenza di volta in volta applicabili. Ciò non avviene nel caso dell’arbitrato, dove non vi è un “giudice” pre-determinato a conoscere della controversia. Alla nomina degli arbitri devono sopperire le stesse parti. Queste modalità di nomina portano però con sé il rischio di un’indebita influenza sugli arbitri. Per ridurre al minimo questo rischio il legislatore impone a chi viene nominato arbitro di rendere subito note tutte le circostanze che potrebbero alterare la sua imparzialità e indipendenza.
La disposizione sulla comunicazione delle situazioni d’incompatibilità vale per tutti i soggetti che vengono nominati arbitro, indipendentemente dal ruolo che essi vanno ad assumere nel tribunale arbitrale . Come è noto, un tribunale arbitrale può essere composto da un arbitro unico oppure da una pluralità di arbitri (che, nella quasi totalità dei casi, ammontano a tre). Ai sensi del § 1034 c. 1 ZPO le parti possono determinare il numero di arbitri e, se manca una pattuizione al riguardo, gli arbitri sono tre. Di solito ciascuna parte nomina un arbitro e i due arbitri così nominati nominano il presidente del collegio.
Nel caso di collegio arbitrale (ossia in presenza di una pluralità di arbitri), la norma che impone d’informare in merito a tutte le circostanze che potrebbero far dubitare della imparzialità o indipendenza vale per tutti i componenti. Il legislatore tedesco avrebbe potuto prevedere che il dovere d’informare in via preventiva vale solo per il presidente del collegio, quale ago della bilancia in seno al collegio stesso. In questo modo, però, si sarebbe potenzialmente alterata la terzietà del collegio nel suo complesso, laddove uno degli altri due arbitri non fosse imparziale e indipendente. Anzi: è in genere proprio in relazione agli arbitri cc.dd. “di parte” che si pone con maggior forza il problema del rischio di un legame con le parti. La scelta del legislatore tedesco è chiara nel senso di non distinguere fra il ruolo dei singoli arbitri (semplice componente del collegio oppure presidente). Non vi è, in altre parole, una gradazione della severità delle regole sulla ricusazione in relazione al ruolo rivestito dal singolo arbitro.
La disposizione che impone ai potenziali arbitri la comunicazione delle situazioni d’incompatibilità opera dunque indipendentemente dalle modalità di nomina degli stessi. La nomina degli arbitri è disciplinata dal § 1035 ZPO. Di regola gli arbitri vengono nominati dalle parti (§ 1035 c. 2 ZPO). Tuttavia, in casi particolari, vi procede l’autorità giudiziaria. In entrambe le ipotesi, l’arbitro – una volta nominato – deve rendere note le circostanze che possono sollevare dubbi sulla sua imparzialità e indipendenza. Non può difatti trovare accoglimento la tesi che l’arbitro nominato dall’autorità giudiziaria goda, per questa ragione, di uno status particolare che ne impedisce la ricusazione. Il § 1035 c. 5 ZPO prevede che l’autorità giudiziaria, nel nominare gli arbitri, debba tenere conto di tutte le circostanze che garantiscano la nomina di una persona imparziale e indipendente. Ciò nonostante, la nomina effettuata dal giudice - anche se questi è un soggetto terzo rispetto alle parti - non può garantire in modo assoluto la terzietà dell’arbitro. Ne consegue che anche tale arbitro, come qualsiasi arbitro, deve rendere note eventuali situazioni d’incompatibilità e può essere ricusato.
La legge tedesca non elenca quali siano le circostanze che fanno scattare il dovere d’informazione, ma si tratta di una scelta consapevole. L’alternativa sarebbe stata quella di elencare nella legge, a titolo esemplificativo oppure addirittura tassativo, una serie di situazioni in cui scatta l’obbligo d’informativa. Qualsiasi elencazione tenderebbe però a peccare per difetto, in considerazione del fatto che le circostanze che possono fare sorgere dubbi su imparzialità e indipendenza dell’arbitro sono estremamente varie ed è difficile riassumerle in un elenco compiuto. Spetta allora alla giurisprudenza attribuire significato concreto alla generica formulazione della legge.
Il legislatore tedesco si preoccupa di garantire l’efficacia nel tempo della disposizione appena illustrata e stabilisce che un arbitro, anche dopo la sua nomina e fino al termine del procedimento arbitrale, è obbligato a rendere note alle parti - senza ritardo - tali circostanze, se non le aveva comunicate in precedenza (§ 1036 c. 1 frase 2 ZPO). Può capitare che l’arbitro ometta la comunicazione all’inizio del suo mandato. Ciò non vale a sanare la situazione e l’arbitro rimane obbligato alla comunicazione anche dopo.
Il § 1036 c. 1 ZPO non dice però cosa succeda nel caso in cui l’arbitro taccia situazioni d’incompatibilità. Secondo la soluzione proposta dalla giurisprudenza, la reticenza giustifica la ricusazione dell’arbitro, ricusazione che si realizza attraverso il procedimento previsto dal § 1037 ZPO.
La Corte di appello di Francoforte sul Meno ha avuto occasione, nel gennaio 2008, di occuparsi di una vicenda di omessa informazione sulle situazioni d’incompatibilità . Nel caso di specie risultò che il presidente del collegio arbitrale era legato in modo particolare al difensore del convenuto. Questo legame era dato: 1) dal fatto che il presidente abitava in un appartamento preso in locazione dal difensore (fra l’altro tale appartamento si trovava nello stesso edificio dove il difensore aveva lo studio); 2) inoltre i due interessati si conoscevano particolarmente bene, in quanto - in privato - si davano del tu e non del lei. La Corte di appello di Francoforte afferma che il legame contrattuale di locazione sussistente fra un arbitro e una parte è in genere sufficiente per la ricusazione dell’arbitro. Nel caso di specie il legame è però indiretto nel senso che il rapporto locatizio sussiste fra un arbitro e (non la parte, ma) il difensore di una parte. Con riguardo al rapporto di stretta conoscenza (che trovava espressione nell’utilizzo del tu invece che del lei), la Corte di appello rileva che in sé questa circostanza non è sufficiente a dimostrare che l’arbitro sia prevenuto.
In sé, dunque, nessuna delle due circostanze eccepite è sufficiente per ricusare l’arbitro. Nel caso di specie ciò che la Corte di appello di Francoforte sul Meno contesta è qualcosa di diverso, è il fatto che l’arbitro non avesse reso note tali circostanze. Il § 1036 c. 1 ZPO impone di rendere note tutte le circostanze che possono fare sorgere “dubbi” sulla imparzialità e indipendenza dell’arbitro. Il dovere d’informazione è dunque particolarmente ampio. Non è poi detto che tutte tali circostanze siano sufficienti per ottenere la ricusazione dell’arbitro. Come vedremo meglio in seguito, il § 1036 c. 2 ZPO prevede che la ricusazione è possibile solo in presenza di dubbi “giustificati” (berechtigt) sulla imparzialità o indipendenza dell’arbitro. Bisogna dunque distinguere chiaramente fra i due passaggi successivi: 1) l’obbligo d’informazione è estremamente ampio e investe ogni circostanza che possa in qualsiasi modo far dubitare di imparzialità o indipendenza; 2) a seguito di tale informativa la ricusazione avviene solo se gli elementi addotti dalla parte (e le altre circostanze di cui si viene a conoscenza) fanno oggettivamente ritenere che l’arbitro versi in una situazione d’incompatibilità. In altre parole l’insieme di circostanze da rendere noto può essere più ampio dell’insieme di circostanze che possono determinare la ricusazione. La Corte di appello di Francoforte afferma che anche un rapporto di locazione e di stretta conoscenza con il difensore della parte debba essere reso noto all’inizio di un procedimento arbitrale.
La Corte di appello di Francoforte conclude nel senso che la violazione dell’obbligo d’informazione può, a sua volta, essere motivo di ricusazione. La mancata informativa sulle circostanze cui si è accennato, anche se tali elementi in sé non giustificano una ricusazione, fa sorgere dubbi “giustificati” sulla imparzialità e sulla indipendenza dell’arbitro. Il dubbio consiste proprio nel fatto che la “reticenza” dell’arbitro potrebbe essere dovuta all’intenzione di avvantaggiare la parte a cui è legato. Ne consegue che l’altra parte può legittimamente ricusare l’arbitro reticente.
Anche la Corte di appello di Amburgo ha avuto occasione di occuparsi della ampiezza del dovere d’informare preventivamente in merito alla sussistenza di eventuali motivi d’incompatibilità con la carica di arbitro . Secondo questa ordinanza, peraltro, non sussiste l’obbligo per l’arbitro di rendere noto di avere già operato come avvocato di una delle parti. Questa circostanza non costituisce nemmeno motivo di ricusazione (ai sensi del successivo c. 2 del § 1036 ZPO). Nel caso di specie erano decorsi circa cinque anni dall’ultima consulenza in qualità di avvocato da parte del soggetto ora arbitro in favore della società ora divenuta parte del procedimento arbitrale. La Corte di appello di Amburgo ritiene che, una volta terminata da lungo tempo l’attività svolta come avvocato di una parte, non sussistano più vincoli con la stessa che possano influenzare l’operato dell’arbitro.
3. - La legge tedesca prevede che un arbitro può essere ricusato solo quando sussistono elementi che fanno sorgere dubbi giustificati sulla sua imparzialità o indipendenza oppure quando non soddisfa i requisiti fissati dalle parti (§ 1036 c. 2 frase 1 ZPO).
Dal punto di vista soggettivo, questa disposizione concerne gli arbitri; essa non interessa soggetti diversi. Si deve in particolare ritenere che non sussista la possibilità di ricusare i soggetti che sono chiamati a nominare gli arbitri . La convenzione arbitrale potrebbe, ad esempio, avere rimesso a una determinata autorità (come il presidente della camera di commercio o dell’ordine degli avvocati) il potere di nominare gli arbitri. Tale persona non può essere ricusata; potrà essere successivamente ricusata la persona nominata.
Il § 1036 c. 2 ZPO si compone di due parti.
In primo luogo il § 1036 c. 2 ZPO stabilisce che un arbitro può essere ricusato tutte le volte che sussistono circostanze che fanno sorgere legittimi dubbi sulla sua imparzialità o indipendenza.
La legge non richiede dunque la prova in senso tecnico che l’arbitro sia parziale o dipendente. Ciò che deve invece sussistere sono legittimi dubbi (berechtigte Zweifel) sulla imparzialità o indipendenza.
Il legislatore tedesco non elenca quali sono le circostanze che fanno dubitare in merito a imparzialità o indipendenza degli arbitri, non le esplicita. La scelta è voluta, in quanto l’alternativa sarebbe stata quella di fare un’elencazione di ipotesi specifiche che legittimano la ricusazione. Tale elencazione non potrebbe però tenere conto di tutta la varietà delle vicende umane e sarebbe inevitabilmente destinata a essere solo esemplificativa. Non vi è dunque elencazione dei motivi che fanno dubitare di imparzialità o indipendenza. Spetta alla giurisprudenza, di volta in volta, identificare tali possibili motivi.
Certamente le circostanze che impongono a un giudice di astenersi (§ 41 ZPO) oppure che possono giustificare la sua ricusazione (§ 42 ZPO) sono casi tipici in cui un arbitro può essere ricusato.
Per i giudici vi è un’elencazione precisa dei casi di astensione obbligatoria. Non è questa la sede per esamine in dettaglio tutti le ipotesi in cui la legge tedesca impone ai giudici di astenersi. A titolo semplificativo si prenda l’ipotesi estrema in cui il giudice coincide con la parte (§ 41 c. 1 n. 1 ZPO). Evidentemente un caso del genere, in cui il conflitto d’interessi è totale, non può non trovare applicazione anche agli arbitri. Se una persona è parte di un arbitrato, quella stessa persona non può essere nominata arbitro nello stesso procedimento e, se ciò avviene, può essere ricusata. E si noti che la coincidenza fra arbitro e parte non deve necessariamente essere assoluta . Vi è invece incompatibilità anche nei casi in cui viene nominato arbitro un soggetto strettamente relazionato alla parte. Se, ad esempio, una società agisce in arbitrato, i suoi amministratori non possono essere nominati arbitri. Analogamente se un comune agisce in arbitrato, il sindaco di tale comune non può essere nominato arbitro.
Gettiamo ora lo sguardo ad alcuni precedenti giurisprudenziali che forniscono informazioni utili sulle modalità con le quali i giudici tedeschi affrontano la materia della ricusazione degli arbitri.
La Corte di appello di Francoforte sul Meno si è, ad esempio, occupata - nell’ottobre 2007 - dei legami che possono intercorrere fra gli arbitri e le parti (oppure i loro difensori) . Questa ordinanza della Corte di appello è veramente interessante e, per certi versi, curiosa, alla luce degli argomenti addotti dall’attore per ricusare l’arbitro. La pronuncia si occupa degli intensi legami di amicizia/professionali che si instaurano fra quei (pochi) giuristi che si occupano frequentemente di arbitrati. Fra tali giuristi, vuoi per il fatto che si occupano della stessa materia (che è, fra l’altro, piuttosto specifica) vuoi per il fatto che rappresentano un numero limitato, è facile che si instaurino rapporti di vario genere che vanno oltre la mera conoscenza di cortesia, per raggiungere forme di più profonda collaborazione professionale e talvolta anche di vera e propria amicizia personale.
La parte ricusante (si trattava dell’attore) ha basato l’istanza di ricusazione su circostanze piuttosto singolari. Una contestazione che venne mossa dall’attore al presidente del collegio arbitrale riguardava il fatto di essere un componente degli organi rappresentativi della Associazione tedesca per l’arbitrato (Deutsche Institution für Schiedsgerichtsbarkeit) nonché co-direttore di una collana specializzata in materia di arbitrato. Anche l’avvocato del convenuto era un componente degli organi di siffatta Associazione e aveva tenuto una relazione a un convegno organizzato da tale Associazione, relazione che era stata successivamente pubblicata nella collana di cui il presidente del collegio era co-direttore. Inoltre la premessa all’opera era stata scritta dall’attuale presidente del collegio. Infine la relazione e la pubblicazione avevano a oggetto la medesima materia trattata nel procedimento arbitrale. Ciò, secondo la tesi dell’attore, potrebbe rappresentare un pericolo per l’imparzialità e l’indipendenza in quanto l’arbitro, essendosi già occupato della questione a livello teorico, potrebbe avere raggiunto un convincimento in merito (ed essere dunque prevenuto). Il procedimento arbitrale è invece funzionale proprio alla raccolta di elementi di fatto e alla discussione di punti di diritto affinché gli arbitri possano convincersi direttamente della fondatezza di una tesi piuttosto che di un’altra, senza essere indebitamente influenzati da convinzioni già formatesi in precedenza.
Nel caso di specie la Corte di appello di Francoforte non accoglie la tesi sostenuta dall’attore per diversi motivi. Con riferimento al fatto che il difensore del convenuto avesse tenuto una relazione a convegno, non risultò che il presidente del collegio arbitrale vi avesse preso parte come uditore. Di conseguenza il presidente del collegio non ne conosceva i contenuti. Successivamente la relazione venne pubblicata nella collana, ma anche a questa circostanza la Corte di appello non attribuisce significato. Non tutti i co-direttori di una collana leggono difatti necessariamente in anticipo tutti i contributi che vi vengono pubblicati. Anche il fatto di avere scritto la premessa non significa necessariamente conoscenza di tutti gli articoli pubblicati nell’opera. Ma, ed è questo l’argomento più convincente, anche a voler ritenere che il co-direttore conoscesse fino in dettaglio il contenuto della relazione e del contributo scritto, ciò non significa – specifica la Corte di appello - che egli abbia fatto proprie (nel senso di essere d’accordo con) le tesi sostenute. Una soluzione diversa sarebbe stata possibile laddove il presidente del collegio arbitrale avesse dichiarato in anticipo rispetto al procedimento arbitrale di condividere gli argomenti e le tesi sostenuti dal soggetto poi divenuto difensore del convenuto.
La Corte di appello di Francoforte sul Meno rileva poi che, come regola generale, solo i rapporti personali o di affari stretti fra l’arbitro e la parte sono in grado di mettere in dubbio la sua imparzialità e indipendenza; al contrario i rapporti intercorrenti fra l’arbitro e il difensore della parte non sono, in linea di principio, tali da giustificare la ricusazione. Come accennato, nel caso di specie sia il presidente del collegio arbitrale sia il difensore del convenuto appartenevano a organi rappresentativi della Associazione tedesca per l’arbitrato. Questa circostanza non viene però reputata sufficiente per far dubitare della imparzialità e della indipendenza dell’arbitro. Entrambi erano inoltre co-direttori di una rivista specializzata, ma anche questa comunanza non viene ritenuta sufficiente dalla Corte di appello di Francoforte. Questa autorità giudiziaria osserva che è del tutto naturale che persone che sono attive nella stessa area del diritto (l’arbitrato: per di più si tratta di un settore del diritto limitato e di alta specializzazione) si incontrino e prendano parte alle stesse iniziative formative ed editoriali e siano membri delle stesse associazioni.
L’ordinanza della Corte di appello di Francoforte sul Meno afferma infine che le dichiarazioni di un arbitro (se tese a sminuire una delle parti) possono determinare la sua ricusazione. Ciò non avvenne tuttavia nel caso di specie in quanto il presidente del collegio arbitrale rispose in modo oggettivo alle contestazioni di parzialità e dipendenza che gli erano state mosse.
In connessione con questa tematica merita di essere citata un’ordinanza della Corte di appello di Brema che si è occupata del caso in cui uno degli arbitri ha utilizzato espressioni sconvenienti nei confronti di una delle parti . L’attore aveva contestato all’arbitro del convenuto di trovarsi in una posizione d’incompatibilità in quanto egli (e il suo studio legale) aveva in precedenza prestato opera di assistenza come avvocato per lo stesso convenuto. La contestazione dell’attore concerneva insomma il fatto che sussistevano dubbi sulla reale terzietà dell’arbitro del convenuto, stante detti rapporti professionali. A tale contestazione l’arbitro del convenuto aveva reagito in modo stizzito accusando l’attore (nella persona del responsabile dell’ufficio legale) di essere persona giovane e poco esperta in materia di arbitrati e di non sapere che è circostanza comune che gli avvocati noti nel settore (del diritto delle costruzioni, nel caso di specie) sono soliti operare sia come avvocati delle parti sia come arbitri delle stesse (naturalmente in relazione a vicende diverse). La Corte di appello di Brema non esamina tanto la questione se relazioni professionali del genere siano realmente idonee ad alterare la terzietà dell’arbitro. Essa si limita a constatare che l’utilizzo di espressioni sconvenienti (ossia l’avere tacciato una parte di poca esperienza) è sufficiente a far ritenere che l’arbitro non possegga la necessaria imparzialità e indipendenza. Sussiste in particolare il pericolo che tale arbitro non prenda in seria considerazione le argomentazioni della parte che egli reputa essere inesperta. Conseguentemente la Corte di appello accoglie la domanda di ricusazione.
Finora ci si è occupati del caso in cui sussistono circostanze che fanno legittimamente dubitare della imparzialità o della indipendenza dell’arbitro. Il § 1036 c. 2 ZPO prevede però una seconda ipotesi in cui si può chiedere la ricusazione degli arbitri. Le parti possano fissare le condizioni che gli arbitri devono soddisfare, con la conseguenza che – se tali requisiti non sono soddisfatti – gli arbitri possono essere ricusati. L’autonomia privata può dunque prevedere casi ulteriori, rispetto alla generica assenza di imparzialità e indipendenza, che possono giustificare la ricusazione.
Bisogna dire che di norma, nella prassi, le convenzioni arbitrali non si soffermano in dettaglio sulle condizioni che i potenziali arbitri devono soddisfare al fine di essere nominati, ma può capitare che ciò avvenga. I patti d’arbitrato possono identificare requisiti di diverso genere la cui soddisfazione è reputata necessaria dai contraenti per l’esercizio della funzione di arbitro. Si pensi al possesso di una determinata formazione accademica (come una laurea in giurisprudenza) o di una determinata qualificazione professionale (come il titolo di avvocato) oppure alla conoscenza di una determinata lingua (circostanza significativa nel caso di arbitrati internazionali o che, comunque, presentano parti provenienti da diversi Paesi o documentazione in altre lingue).
I contraenti possono dunque determinare le condizioni che gli arbitri devono soddisfare per l’assunzione dell’incarico e, in assenza di esse, possono ricusarli. Questi presupposti non attengono necessariamente alla circostanza “terzietà” degli arbitri, ossia al rischio che essi possano essere in qualche modo prevenuti. Può benissimo trattarsi di condizioni attinenti per così dire alle “capacità” dell’arbitro, nel senso di abilità, competenza ed esperienza. Il motivo classico di ricusazione ha a che fare con l’assenza di imparzialità o indipendenza e non tocca il problema della competenza/esperienza: la ricusazione nell’accezione tradizionale è cioè questione di “iudex suspecuts”, non di “iudex inhabilis”. I giudici statali devono avere conseguito la laurea in giurisprudenza e avere superato un apposito esame di Stato per divenire magistrati. Ciò non vale per gli arbitri, che sono scelti dalle parti e possono essere anche non-giuristi. La competenza degli arbitri in materia di diritto non è dunque così certa come quella dei giudici. I contraenti possono nominare come arbitro le persone che preferiscono. Essi tuttavia possono anche “auto-limitarsi” nel senso di prevedere nella convenzione arbitrale che gli arbitri debbano soddisfare certi presupposti (anche di competenza/esperienza). In questo caso l’assenza di tali presupposti costituisce motivo di ricusazione di origine pattizia.
Le convenzioni arbitrali sono poi libere di esprimere i motivi di ricusazione anche “in modo negativo”, nel senso d’indicare espressamente quali circostanze ostano all’assunzione della qualità di arbitro . Ad esempio si potrebbe prevedere che certi rapporti (stretti) di parentela con una delle parti costituisce motivo di ricusazione. In questo caso l’autonomia privata non fa altro che pre-identificare motivi di ricusazione “precisi”, rispetto alla formulazione della legge, che è invece “generica”. Con una differenza però significativa. Nel caso in cui una certa circostanza è prevista espressamente dalle parti come motivo di ricusazione, basta accertare che tale circostanza sussiste per aversi fondato motivo di ricusazione. Nelle altre ipotesi invece si deve discutere di volta in volta se la circostanza addotta dalla parte ricusante può (o non può) essere sussunta nell’espressione generale della legge (ossia: “circostanza che fa sorgere fondati dubbi sulla imparzialità o sull’indipendenza dell’arbitro”). Le parti potrebbero anche pattuire che costituisce motivo di ricusazione degli arbitri la sussistenza di uno dei motivi per cui, ai sensi del § 41 ZPO, un giudice ha l’obbligo di astenersi. Con una clausola del genere è fuori di dubbio che tutte le ipotesi elencate nel § 41 ZPO legittimano la ricusazione dell’arbitro. Non vi sono più margini per discutere se tali motivi di astensione si applichino o meno agli arbitri, in quanto la scelta dei contraenti è stata chiara in tal senso.
La legge tedesca prevede infine che una parte può ricusare un arbitro che essa stessa ha nominato o alla cui nomina ha contribuito solo per motivi che le sono diventati noti dopo la nomina (§ 1036 c. 2 frase 2 ZPO). La possibilità di ricusare il proprio arbitro viene esclusa dalla legge tedesca, in quanto la ricusazione potrebbe essere altrimenti utilizzata strumentalmente per ritardare il procedimento arbitrale. La disposizione presuppone che chi nomina un arbitro conosca adeguatamente la persona che nomina e “si fidi” di essa. In casi particolari potrebbe verificarsi che la persona nominata presenti caratteristiche tali per cui il rapporto fiduciario/di trasparenza con la parte viene meno. In queste ipotesi è possibile la ricusazione ma solo per motivi che sono diventati noti dopo la nomina.
4. - La legge tedesca prevede che, salvo quanto stabilito dal c. 3, le parti possono concordare il procedimento
per la ricusazione degli arbitri (§ 1037 c. 1 frase 1 ZPO).
In materia di procedimento di ricusazione degli arbitri è dunque sovrana l’autonomia privata (fatta eccezione per la possibilità di escludere il ricorso all’autorità giudiziaria di cui al c. 3, possibilità che non sussiste, per la funzione di importante garanzia rivestita da tale disposizione).
Nella convenzione arbitrale possono essere contenute clausole dal contenuto più diverso in merito al procedimento di ricusazione degli arbitri. Ad esempio può essere stabilito che sia non il tribunale arbitrale (come invece dispone in via generale il § 1037 c. 2 ZPO), ma un terzo a decidere in merito alla domanda di ricusazione. A tal fine può, in particolare, essere identificata una istituzione arbitrale, cui viene demandata una decisione in merito. Oppure le parti possono intervenire sui termini, sia su quello per la presentazione della domanda di ricusazione sia su quello per l’assunzione di una decisione sulla ricusazione. In un caso oggetto di un’ordinanza della Corte di appello di Amburgo, le parti avevano previsto – mediante rinvio a un regolamento arbitrale - che la parte che avesse voluto proporre istanza di ricusazione avrebbe dovuto farlo “senza ritardo” (unverzüglich) . Si dovette pertanto stabilire quale fosse un termine ragionevole per la decisione e la Corte di appello afferma che la domanda di ricusazione va presentata entro due settimane da quando la parte ha avuto conoscenza dei motivi che la giustificano. Si noti come la Corte di appello di Amburgo si orienta a quello che è il termine previsto dal § 1037 c. 2 ZPO per il caso non sussistano accordi fra le parti. Tale autorità giudiziaria afferma anche che il decorso del termine previsto dal regolamento arbitrale a cui i contraenti hanno fatto rinvio determina decadenza, ossia impossibilità per la parte di presentare in ritardo la domanda di ricusazione. Un’altra possibile clausola pattuibile fra le parti consiste nel fissare il termine entro il quale deve essere presa la decisione sulla ricusazione dell’arbitro.
Bisogna peraltro dire che di norma, nella prassi, le convenzioni arbitrali pattuite ad hoc fra le parti non contengono disposizioni particolari sul procedimento di ricusazione degli arbitri. Ancora più raro è il caso di convenzioni arbitrali che regolano in dettaglio tale procedimento.
Come abbiamo già visto, capita diversamente quando vi è il rinvio a un regolamento di arbitrato, alcuni dei quali sono piuttosto dettagliati in merito alla ricusazione. L’accordo dei contraenti sul procedimento di ricusazione può dunque sussistere per via “indiretta”, nel senso che le parti dichiarano applicabile un regolamento arbitrale, il quale disciplina tale procedimento.
Il legislatore si preoccupa però del caso di assenza di pattuizioni fra le parti (e di regolamenti arbitrali applicabili al caso di specie), stabilendo che trova applicazione quanto disposto dai cc. 2 e 3 del § 1037 ZPO.
Abbiamo già accennato al fatto che la legge tedesca si premura di stabilire che è fatto salvo quanto previsto dal c. 3 del § 1037 ZPO, ossia la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria. I contraenti possono dunque stabilire con libertà quale debba essere il procedimento di ricusazione, ma non possono vietarsi reciprocamente di ricorrere al giudice statale nel caso in cui il procedimento di ricusazione stabilito fra di esse non abbia successo. L’ordinamento tedesco ritiene che imparzialità e indipendenza dell’arbitro siano valori così importanti che nessun accordo delle parti può produrre l’effetto di escludere il sindacato dell’autorità giudiziaria in merito alla reale sussistenza di motivi di ricusazione.
Non viene invece qualificato come inderogabile il c. 2 del § 1037 ZPO. Ne consegue che le parti possono anche arrivare a escludere la competenza del tribunale arbitrale a conoscere della ricusazione, saltando subito alla competenza del giudice statale . Il vantaggio di questa scelta è quella di velocizzare l’assunzione di una decisione definitiva. A dire il vero si tratta anche di una clausola che rivela una certa sfiducia delle parti nel meccanismo della ricusazione quale sistema gestito internamente allo stesso tribunale arbitrale.
Il § 1037 ZPO sul procedimento di ricusazione trova applicazione anche quando il luogo del procedimento arbitrale non è ancora stato determinato. Alcune disposizioni del codice di procedura civile tedesco sono applicabili già prima che si sia determinato che il luogo del procedimento arbitrale si trova in Germania. Il § 1025 c. 3 ZPO dispone in particolare che fino a quando il luogo del procedimento arbitrale non è stato determinato, l’autorità giudiziaria tedesca è competente per l’esercizio di alcune attività (fra cui quelle indicate nel § 1037 ZPO) quando il convenuto o l’attore ha la propria sede o la propria dimora abituale in Germania. Le parti possono dunque chiedere la ricusazione dell’arbitro non appena ne conoscono l’identità anche se non è ancora certo che il luogo del procedimento sarà in Germania e che, dunque, il procedimento arbitrale sarà regolato dal diritto tedesco (ai sensi del § 1025 c. 1 ZPO, le disposizioni del libro X sul procedimento arbitrale sono applicabili quando il luogo del procedimento arbitrale è in Germania).
La legge tedesca prevede che, se manca un accordo delle parti in materia di ricusazione degli arbitri, la parte che intende ricusare un arbitro deve comunicare per iscritto al tribunale arbitrale i motivi di ricusazione entro due settimane dal momento in cui le è diventata nota la composizione del tribunale arbitrale o la sussistenza di un motivo di ricusazione ai sensi del § 1036 c. 2 ZPO (§ 1037 c. 2 frase 1 ZPO).
Il legislatore richiede espressamente una comunicazione scritta per l’istanza di ricusazione. Secondo la disposizione generale del codice civile (§ 126 c. 3 BGB), la forma scritta può essere sostituita dalla forma elettronica, se dalla legge non risulta altrimenti.
Il § 1037 c. 2 frase 1 ZPO fissa anche un limite temporale alla possibilità di presentare domanda di ricusazione: due settimane dal momento in cui il soggetto ricusante conosce la composizione del collegio arbitrale o il motivo di ricusazione. Decorso tale termine, si verifica una decadenza. La parte che conosce l’identità dell’arbitro o il motivo di ricusazione, ma non si attiva per la sua rimozione, dimostra di non temere realmente la sua possibile parzialità e dipendenza. Conseguentemente deve accettare che il procedimento prosegua con la partecipazione di tale arbitro. La Corte di appello di Monaco ha avuto modo di specificare che il termine di due settimane previsto da questa disposizione impedisce d’introdurre nuovi motivi di ricusazione, ma non è di ostacolo a integrare i motivi di ricusazione che sono già stati addotti nel rispetto del termine .
La parte avvia dunque il procedimento di ricusazione comunicando al tribunale arbitrale la sussistenza di un motivo di ricusazione e l’intenzione di ricusare un arbitro. Il tribunale arbitrale ha poi l’obbligo di trasmettere questa comunicazione all’altra parte. L’obbligo risulta dal § 1047 c. 3 ZPO, secondo cui tutti gli atti, i documenti e le altre comunicazioni che vengono sottoposte da una parte al tribunale arbitrale devono essere portate a conoscenza dell’altra parte .
La legge tedesca prevede che se l’arbitro ricusato non rinuncia al suo incarico o se l’altra parte non dà il proprio consenso alla ricusazione, spetta al tribunale arbitrale decidere in merito alla ricusazione (§ § 1037 c. 2 frase 2 ZPO).
L’arbitro ricusato può anzitutto rinunciare al proprio incarico. Si tratta della soluzione di norma preferibile, in quanto evita ogni genere di tensione e risolve il caso con velocità ed eleganza.
In alternativa la parte diversa da quella che ha presentato istanza di ricusazione può dare il proprio consenso alla ricusazione. Se la controparte non ha obiezioni alla rimozione dell’arbitro, non si vedono ragioni importanti per non sostituirlo.
In entrambi i casi l’arbitro viene meno e si tratta solo di trovare un sostituto. In questo senso dispone il § 1039 c. 1 ZPO secondo cui, se l’ufficio di arbitro cessa ai sensi del § 1037 ZPO oppure per rinuncia all’incarico oppure per revoca dell’incarico su accordo delle parti, va nominato un nuovo arbitro.
Se invece l’arbitro non rinuncia volontariamente all’incarico né la parte che lo ha nominato dà il consenso alla ricusazione, della questione viene investito il tribunale arbitrale.
La Corte di appello di Monaco ha stabilito che l’arbitro ricusato può partecipare alla decisione in merito alla sua ricusazione . Nel processo dinanzi ai giudici statali vale invece un principio diverso, stabilendo la legge che sulla domanda di ricusazione decide la corte cui appartiene il giudice ricusato, ma con esclusione della persona ricusata (§ 45 c. 1 ZPO).
In merito alle modalità di decisione del tribunale arbitrale sull’istanza di ricusazione è utile distinguere fra il caso in cui il tribunale sia composto da una persona sola e l’ipotesi di collegio arbitrale.
Se il tribunale arbitrale è composto da un arbitro unico, la decisione sulla ricusazione viene assunta dallo stesso arbitro ricusato. Questa decisione consiste nella dichiarazione di accettare (oppure di non accettare) la domanda di ricusazione, cioè di dimettersi. Se l’arbitro unico accetta di dimettersi, si deve procedere a nominarne uno nuovo in sua sostituzione. L’arbitro può però rifiutare di dimettersi. Il pericolo è insomma, ovviamente, quello che l’arbitro ricusato neghi la sussistenza di motivi di ricusazione e voglia insistere nel conservare l’incarico che gli è stato assegnato. In questo caso la parte che ha proposto la ricusazione può rivolgersi all’autorità giudiziaria ai sensi del § 1037 c. 3 ZPO. La parte non può difatti essere costretta a subire un procedimento arbitrale con un arbitro che reputa parziale e dipendente, senza che vi sia stata una decisione “terza” in merito.
Nella diversa ipotesi di un collegio arbitrale, la decisione viene assunta da tre persone, compreso l’arbitro ricusato. Normalmente i rapporti di forza in seno al collegio consentono di trovare una soluzione alla controversia. Bisogna difatti tenere presente che la legge tedesca prevede che, nel procedimento arbitrale con più di un arbitro, ogni decisione del tribunale arbitrale è assunta con la maggioranza dei voti di tutti i suoi componenti (§ 1052 c. 1 ZPO). In caso di collegio arbitrale composto da tre persone saranno due i voti decisivi. Anche nell’ipotesi in cui l’arbitro ricusato dovesse opporsi alla propria ricusazione, gli altri due arbitri sono in grado di far prevalere la decisione opposta. L’altro arbitro di parte sarà probabilmente favorevole alla ricusazione, cosicché la decisione finale spetta – di fatto – al presidente del collegio arbitrale, che si può supporre in posizione veramente neutrale.
Possono poi effettivamente verificarsi dei casi in cui si realizza la parità di voti. Si supponga ad esempio che uno dei tre componenti del collegio si astenga (ad esempio lo stesso arbitro ricusato, per ragioni di opportunità) e che gli altri due membri siano di opinione diversa in merito alla ricusazione. In questo caso non viene raggiunga la maggioranza, formandosi solo una situazione di parità (un arbitro contro un arbitro mentre il terzo si astiene). In una situazione del genere, ai sensi del già menzionato § 1052 c. 1 ZPO la decisione (di ricusazione) non viene approvata e ciò significa che non ha luogo la ricusazione dell’arbitro. Questa disposizione si esprime difatti in positivo (ogni decisione del tribunale arbitrale viene adottata con la maggioranza dei voti di tutti i suoi componenti), con la conseguenza che – quando tale maggioranza non viene raggiunta – non è stata assunta una valida decisione.
Il procedimento di ricusazione dell’arbitro richiede un certo tempo per svolgersi. Durante questo periodo il procedimento arbitrale può continuare con la partecipazione dell’arbitro ricusato. La legge prevede espressamente (§ 1037 c. 3 frase 2 ZPO) solo il caso in cui sia pendente il procedimento giudiziale sulla ricusazione e consente all’arbitro ricusato di continuare a prestare la propria opera. A maggior ragione quando la decisione si trova ancora in seno allo stesso collegio arbitrale si deve ritenere che l’arbitro ricusato (se non si dimette subito di propria volontà) abbia il diritto di continuare a far parte del collegio arbitrale.
Sempre con riferimento alla tempistica, l’ultimo momento utile per ricusare un arbitro è l’emissione del lodo. Successivamente non può aver luogo un procedimento di ricusazione. La parte che ritiene di essere stata giudicata da un arbitro parziale e dipendente deve impugnare il lodo ai sensi del § 1059 ZPO.
5. - La legge tedesca prevede che, se la ricusazione secondo il procedimento concordato fra le parti o secondo il procedimento previsto nel c. 2 non viene accolta, la parte ricusante può, entro un mese dal momento in cui ha avuto conoscenza della decisione con la quale la ricusazione è stata rifiutata, presentare all’autorità giudiziaria domanda di decisione sulla ricusazione; le parti possono concordare un termine diverso (§ 1037 c. 3 frase 1 ZPO).
Con questa disposizione il diritto tedesco consente espressamente di rivolgersi all’autorità giudiziaria per conseguire il risultato voluto da una delle parti (ricusazione di un arbitro), naturalmente purché ne sussistano i presupposti. Il legislatore teme che una delle parti, pur sussistendone i motivi, non riesca a ricusare l’arbitro nel corso del procedimento arbitrale (ossia con il meccanismo che si è esaminato sopra). Rimane dunque sempre ferma la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria. Si è già detto sopra come nemmeno l’accordo delle parti sia in grado di escludere la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria (in questo senso il § 1037 c. 1 ZPO).
La disposizione stabilisce che la domanda va presentata entro un mese dal momento in cui la parte ha avuto conoscenza della decisione con cui il tribunale arbitrale ha rifiutato la ricusazione. Se decorre questo termine si verifica una decadenza e non è più possibile ricorrere all’autorità giudiziaria. Il comportamento della parte che non ricorre immediatamente al giudice dimostra un’implicita accettazione della decisione del tribunale arbitrale in merito alla ricusazione dell’arbitro.
Nella prassi si sono verificati dei casi in cui la domanda di ricusazione è stata presentata a una corte di appello diversa da quella competente. Può, più in particolare, capitare che l’istanza venga presentata a una corte di appello incompetente e - nelle more della ripresentazione della domanda - decorra il termine di un mese fissato dalla legge. Secondo una già citata ordinanza della Corte di appello di Monaco, al fine di considerare rispettato il termine di un mese è sufficiente che l’istanza di ricusazione venga presentata nel termine, anche se la presentazione avviene presso una corte di appello non competente .
Competente dal punto di vista funzionale è la corte di appello ai sensi del § 1062 ZPO. Questa disposizione costituisce la norma-regina in materia di rapporti fra gli arbitri e l’autorità giudiziaria. Tale paragrafo individua la competenza della corte di appello per tutti i casi in cui gli arbitri hanno necessità di rivolgersi al giudice statale. Fra tali ipotesi viene elencata espressamente (§ 1062 c. 1 n. 1 ZPO) la ricusazione degli arbitri.
Competente dal punto di vista territoriale è la corte di appello indicata nella convenzione arbitrale o, in mancanza, la corte d’appello del distretto in cui si trova il luogo del procedimento arbitrale (§ 1062 c 1 ZPO).
Talvolta può risultare complesso determinare il luogo del procedimento arbitrale ai fini della competenza della corte di appello. Ciò avviene in quanto la domanda di ricusazione dell’arbitro viene generalmente presentata nelle prime fasi del procedimento, quando – in ipotesi – il luogo non è ancora stato determinato. Al riguardo la legge tedesca prevede che i contraenti possono determinare il luogo del procedimento arbitrale (§ 1043 c. 1 frase 1 ZPO). Se manca un accordo delle parti in merito, il luogo del procedimento arbitrale è determinato dal tribunale arbitrale (§ 1043 c. 1 frase 2 ZPO). Può però capitare che lo stesso tribunale arbitrale non si sia ancora espresso in merito e che una delle parti voglia presentare domanda di ricusazione di un arbitro. Tale parte sarà costretta a individuare la corte di appello competente. Al riguardo soccorre la disposizione del § 1062 c. 3 ZPO, secondo la quale – nei casi previsti dal § 1025 c. 3 ZPO (ossia fino a quando non è stato determinato il luogo del procedimento arbitrale) – competente per la decisione è la corte di appello nel cui distretto l’attore oppure il convenuto ha la propria sede o dimora abituale. Di conseguenza l’attore o il convenuto che desidera ricusare un arbitro, fino a quando non è determinato il luogo del procedimento arbitrale, può – a sua scelta – rivolgersi alla corte di appello del luogo della sede propria o della controparte.
La domanda di ricusazione può essere presentata nella cancelleria della corte di appello. Dispone difatti il § 1063 c. 4 ZPO che, fino a quando non si è giunti alla trattazione orale, le domande e le dichiarazioni possono essere presentate presso la cancelleria.
La corte di appello può decidere in due modi. Se ritiene che la ricusazione non sia fondata, dichiara sussistente la competenza degli arbitri e rimette loro la decisione. Se invece la corte di appello ritiene che la ricusazione sia fondata, essa esclude l’arbitro (giustamente) ricusato dal potere di decidere la controversia.
La decisione della corte di appello non è impugnabile. Il meccanismo previsto dalla legge tedesca in materia d’impugnazioni di decisioni rese in materia di arbitrato è quella di distinguere fra categorie di decisioni (cfr. il § 1065 c. 1 ZPO). Alcune (quelle più importanti) possono essere impugnate, altre (reputate meno significative; fra qui quella sulla ricusazione) non possono invece essere impugnate. Si vuole così evitare che la decisione su una questione preliminare (quale la composizione del collegio arbitrale) rallenti eccessivamente l’operatività.
La legge tedesca prevede che, mentre è pendente la domanda giudiziale sulla ricusazione, il tribunale arbitrale (comprensivo dell’arbitro ricusato) può proseguire il procedimento e può emettere il lodo (§ 1037 c. 3 frase 2 ZPO).
Con questa disposizione si regola il destino del procedimento arbitrale in pendenza della decisione giudiziale sulla ricusazione. Per ragioni di efficienza processuale il procedimento arbitrale “può” continuare. Non si tratta tuttavia di un obbligo (“deve” continuare), ma di una facoltà. Il collegio arbitrale deve valutare se, alla luce di tutte le circostanze del caso, sia opportuno fermarsi e attendere la pronuncia della corte di appello oppure continuare. Nell’effettuare questa scelta, un ruolo centrale deve essere svolto dal livello di fondatezza della domanda di ricusazione. Se l’istanza appare del tutto infondata (se non addirittura pretestuosa), il collegio arbitrale deciderà probabilmente di continuare con il procedimento, per evitare che i tempi della giustizia statale incidano negativamente sulle aspettative della parte non ricusante (e in buona fede). Se invece la domanda di ricusazione non pare del tutto infondata (sussistono cioè almeno sufficienti probabilità che venga accolta dalla corte di appello), allora è sensato sospendere il procedimento in attesa degli esiti della vicenda giudiziaria.
La decisione di continuare con il procedimento arbitrale pone tutti i problemi connessi al fatto che, a questo punto, vi sono due procedimenti che corrono in parallelo: 1) quello arbitrale nel merito; 2) quello giudiziale sulla istanza di ricusazione.
Dal punto di vista della logica sarebbe naturalmente opportuno che la decisione della corte di appello giungesse prima del lodo. In questo modo si fa chiarezza in anticipo in merito alla imparzialità e indipendenza dell’arbitro ricusato. Se la domanda di ricusazione viene rigettata dall’autorità giudiziaria, il collegio arbitrale termina in tranquillità il proprio lavoro e emette il lodo. Se invece la domanda viene accolta dalla corte di appello, l’arbitro non può più prendere parte alla decisione e deve essere sostituito.
La decisione della corte di appello potrebbe però tardare, e giungere quando è già stato emesso il lodo. Le conseguenze di tale decisione variano a seconda dei casi. Se la corte di appello accerta che l’istanza di ricusazione non era fondata, il lodo arbitrale aveva titolo per essere emesso e rimane fermo. Se invece la corte di appello accerta che l’istanza di ricusazione era fondata (e dunque che il collegio arbitrale ha deciso con la partecipazione di un arbitro che non poteva prendere parte alla decisione), allora si tratta di capire quale sia la sorte del lodo “macchiato” dalla presenza di un arbitro che è stato accertato non essere sufficientemente terzo. Al riguardo si ritiene che non si debba giungere a una ripetizione dell’intero procedimento arbitrale (con partecipazione di un nuovo arbitro), ma che basti impugnare il lodo. Fra i casi nei quali può essere impugnato il lodo la legge tedesca prevede difatti proprio quello in cui la composizione del collegio arbitrale non ha rispettato le disposizioni di legge (§ 1059 c. 2 lett. d ZPO).
Vi è un’ulteriore situazione ancora più grave: può difatti darsi che, in pendenza del procedimento sulla ricusazione in corte di appello, sia (non solo già stato pronunciato il lodo, ma addirittura sia) già stata iniziata l’esecuzione del lodo. In questo caso, la domanda di attribuzione di esecutività al lodo va rifiutata in quanto sussiste uno dei motivi per cui il lodo dovrebbe essere annullato (§ 1060 c. 2 ZPO) .
La legge disciplina il rapporto fra il giudizio della corte di appello sulla ricusazione e il procedimento arbitrale stabilendo che quest’ultimo debba continuare nonostante la pendenza del giudizio. La legge non regola però il diverso caso in cui si giunga al lodo (e dunque alla cessazione del procedimento arbitrale) mentre il giudizio della corte di appello è ancora pendente. Se, difatti, si giunge al lodo, vi è da chiedersi che senso abbia che continui il procedimento giudiziario mirante ad accertare la sussistenza di motivi di ricusazione.
La giurisprudenza si è occupata di questo aspetto, affermando che il procedimento dinanzi alla corte di appello deve continuare nonostante il procedimento arbitrale sia terminato . La legge tedesca prevede che il procedimento arbitrale termina con il lodo definitivo (§ 1056 c. 1 ZPO). Analogamente, con la cessazione del procedimento arbitrale cessa l’ufficio del tribunale arbitrale (§ 1056 c. 3 ZPO). Sulla base di queste disposizioni verrebbe da affermare che la continuazione del procedimento giudiziario dinanzi alla corte di appello non ha più ragione di esistere (essendo tecnicamente venuti meno sia il procedimento arbitrale sia il tribunale arbitrale, della cui terzietà si sta dibattendo dinanzi all’autorità giudiziaria). A favore di questa tesi si può aggiungere l’argomento che la parte che vuole ricusare l’arbitro può a questo punto, se lo ritiene, impugnare il lodo ai sensi del § 1059 c. 1 lett. d ZPO, per il fatto che la composizione del collegio arbitrale non è stata rispettosa della legge.
La soluzione fatta propria della Corte di appello di Francoforte sul Meno è però diversa. Bisogna tenere conto che l’autorità giudiziaria è già stata investita della decisione concernente la terzietà dell’arbitro. Se all’esito di tale procedimento dovesse risultare che l’arbitro non è imparziale e indipendente, ciò minerebbe il lodo. Se il procedimento giudiziale dovesse terminare con il lodo, non vi sarebbe alcun reale controllo dell’autorità giudiziaria sulla terzietà della composizione del collegio arbitrale (salva la possibilità d’impugnazione del lodo). Ma la parte che ha chiesto al giudice statale di pronunciarsi sulla ricusazione non perde il suo interesse a tale pronuncia per il fatto che, nel frattempo, è stato emesso il lodo. Anzi: la pronuncia del lodo rende ancora più impellente l’esigenza di una veloce chiarificazione in merito alla reale terzietà dell’arbitro che ha concorso a pronunciarlo. Pare pertanto ragionevole consentire la continuazione del procedimento giudiziario sulla ricusazione finché la corte di appello si sia pronunciata al riguardo.
VALERIO SANGIOVANNI
Avvocato in Milano e Rechtsanwalt in Francoforte sul Meno
Pubblicato per gentile concessione di Cedam, l’articolo dell’avv. Valerio Sangiovanni è già apparso in Rivista di diritto processuale, 2010, pp. 891-908
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Der Schiedsspruch hat unter den Parteien die Wirkungen eines rechtskräftigen gerichtlichen Urteils.
(1) Die Parteien können das Verfahren zur Bestellung des Schiedsrichters oder der Schiedsrichter vereinbaren.
(2) Sofern die Parteien nichts anderes vereinbart haben, ist eine Partei an die durch sie erfolgte Bestellung eines Schiedsrichters gebunden, sobald die andere Partei die Mitteilung über die Bestellung empfangen hat.
(3) Fehlt eine Vereinbarung der Parteien über die Bestellung der Schiedsrichter, wird ein Einzelschiedsrichter, wenn die Parteien sich über seine Bestellung nicht einigen können, auf Antrag einer Partei durch das Gericht bestellt. In schiedsrichterlichen Verfahren mit drei Schiedsrichtern bestellt jede Partei einen Schiedsrichter; diese beiden Schiedsrichter bestellen den dritten Schiedsrichter, der als Vorsitzender des Schiedsgerichts tätig wird. Hat eine Partei den Schiedsrichter nicht innerhalb eines Monats nach Empfang einer entsprechenden Aufforderung durch die andere Partei bestellt oder können sich die beiden Schiedsrichter nicht binnen eines Monats nach ihrer Bestellung über den dritten Schiedsrichter einigen, so ist der Schiedsrichter auf Antrag einer Partei durch das Gericht zu bestellen.
(4) Haben die Parteien ein Verfahren für die Bestellung vereinbart und handelt eine Partei nicht entsprechend diesem Verfahren oder können die Parteien oder die beiden Schiedsrichter eine Einigung entsprechend diesem Verfahren nicht erzielen oder erfüllt ein Dritter eine ihm nach diesem Verfahren übertragene Aufgabe nicht, so kann jede Partei bei Gericht die Anordnung der erforderlichen Maßnahmen beantragen, sofern das vereinbarte Bestellungsverfahren zur Sicherung der Bestellung nichts anderes vorsieht.
(5) Das Gericht hat bei der Bestellung eines Schiedsrichters alle nach der Parteivereinbarung für den Schiedsrichter vorgeschriebenen Voraussetzungen zu berücksichtigen und allen Gesichtspunkten Rechnung zu tragen, die die Bestellung eines unabhängigen und unparteiischen Schiedsrichters sicherstellen. Bei der Bestellung eines Einzelschiedsrichters oder eines dritten Schiedsrichters hat das Gericht auch die Zweckmäßigkeit der Bestellung eines Schiedsrichters mit einer anderen Staatsangehörigkeit als derjenigen der Parteien in Erwägung zu ziehen.
(1) Die Parteien können vorbehaltlich des Absatzes 3 ein Verfahren für die Ablehnung eines Schiedsrichters vereinbaren.
(2) Fehlt eine solche Vereinbarung, so hat die Partei, die einen Schiedsrichter ablehnen will, innerhalb von zwei Wochen, nachdem ihr die Zusammensetzung des Schiedsgerichts oder ein Umstand im Sinne des § 1036 Abs. 2 bekannt geworden ist, dem Schiedsgericht schriftlich die Ablehnungsgründe darzulegen. Tritt der abgelehnte Schiedsrichter von seinem Amt nicht zurück oder stimmt die andere Partei der Ablehnung nicht zu, so entscheidet das Schiedsgericht über die Ablehnung.
(3) Bleibt die Ablehnung nach dem von den Parteien vereinbarten Verfahren oder nach dem in Absatz 2 vorgesehenen Verfahren erfolglos, so kann die ablehnende Partei innerhalb eines Monats, nachdem sie von der Entscheidung, mit der die Ablehnung verweigert wurde, Kenntnis erlangt hat, bei Gericht eine Entscheidung über die Ablehnung beantragen; die Parteien können eine andere Frist vereinbaren. Während ein solcher Antrag anhängig ist, kann das Schiedsgericht einschließlich des abgelehnten Schiedsrichters das schiedsrichterliche Verfahren fortsetzen und einen Schiedsspruch erlassen.
(1) Eine Person, der ein Schiedsrichteramt angetragen wird, hat alle Umstände offen zu legen, die Zweifel an ihrer Unparteilichkeit oder Unabhängigkeit wecken können. Ein Schiedsrichter ist auch nach seiner Bestellung bis zum Ende des schiedsrichterlichen Verfahrens verpflichtet, solche Umstände den Parteien unverzüglich offen zu legen, wenn er sie ihnen nicht schon vorher mitgeteilt hat.
(2) Ein Schiedsrichter kann nur abgelehnt werden, wenn Umstände vorliegen, die berechtigte Zweifel an seiner Unparteilichkeit oder Unabhängigkeit aufkommen lassen, oder wenn er die zwischen den Parteien vereinbarten Voraussetzungen nicht erfüllt. Eine Partei kann einen Schiedsrichter, den sie bestellt oder an dessen Bestellung sie mitgewirkt hat, nur aus Gründen ablehnen, die ihr erst nach der Bestellung bekannt geworden sind.
Ein Richter ist von der Ausübung des Richteramtes kraft Gesetzes ausgeschlossen:
- 1.
in Sachen, in denen er selbst Partei ist oder bei denen er zu einer Partei in dem Verhältnis eines Mitberechtigten, Mitverpflichteten oder Regresspflichtigen steht; - 2.
in Sachen seines Ehegatten, auch wenn die Ehe nicht mehr besteht; - 2a.
in Sachen seines Lebenspartners, auch wenn die Lebenspartnerschaft nicht mehr besteht; - 3.
in Sachen einer Person, mit der er in gerader Linie verwandt oder verschwägert, in der Seitenlinie bis zum dritten Grad verwandt oder bis zum zweiten Grad verschwägert ist oder war; - 4.
in Sachen, in denen er als Prozessbevollmächtigter oder Beistand einer Partei bestellt oder als gesetzlicher Vertreter einer Partei aufzutreten berechtigt ist oder gewesen ist; - 5.
in Sachen, in denen er als Zeuge oder Sachverständiger vernommen ist; - 6.
in Sachen, in denen er in einem früheren Rechtszug oder im schiedsrichterlichen Verfahren bei dem Erlass der angefochtenen Entscheidung mitgewirkt hat, sofern es sich nicht um die Tätigkeit eines beauftragten oder ersuchten Richters handelt; - 7.
in Sachen wegen überlanger Gerichtsverfahren, wenn er in dem beanstandeten Verfahren in einem Rechtszug mitgewirkt hat, auf dessen Dauer der Entschädigungsanspruch gestützt wird; - 8.
in Sachen, in denen er an einem Mediationsverfahren oder einem anderen Verfahren der außergerichtlichen Konfliktbeilegung mitgewirkt hat.
(1) Ein Richter kann sowohl in den Fällen, in denen er von der Ausübung des Richteramts kraft Gesetzes ausgeschlossen ist, als auch wegen Besorgnis der Befangenheit abgelehnt werden.
(2) Wegen Besorgnis der Befangenheit findet die Ablehnung statt, wenn ein Grund vorliegt, der geeignet ist, Misstrauen gegen die Unparteilichkeit eines Richters zu rechtfertigen.
(3) Das Ablehnungsrecht steht in jedem Fall beiden Parteien zu.
Ein Richter ist von der Ausübung des Richteramtes kraft Gesetzes ausgeschlossen:
- 1.
in Sachen, in denen er selbst Partei ist oder bei denen er zu einer Partei in dem Verhältnis eines Mitberechtigten, Mitverpflichteten oder Regresspflichtigen steht; - 2.
in Sachen seines Ehegatten, auch wenn die Ehe nicht mehr besteht; - 2a.
in Sachen seines Lebenspartners, auch wenn die Lebenspartnerschaft nicht mehr besteht; - 3.
in Sachen einer Person, mit der er in gerader Linie verwandt oder verschwägert, in der Seitenlinie bis zum dritten Grad verwandt oder bis zum zweiten Grad verschwägert ist oder war; - 4.
in Sachen, in denen er als Prozessbevollmächtigter oder Beistand einer Partei bestellt oder als gesetzlicher Vertreter einer Partei aufzutreten berechtigt ist oder gewesen ist; - 5.
in Sachen, in denen er als Zeuge oder Sachverständiger vernommen ist; - 6.
in Sachen, in denen er in einem früheren Rechtszug oder im schiedsrichterlichen Verfahren bei dem Erlass der angefochtenen Entscheidung mitgewirkt hat, sofern es sich nicht um die Tätigkeit eines beauftragten oder ersuchten Richters handelt; - 7.
in Sachen wegen überlanger Gerichtsverfahren, wenn er in dem beanstandeten Verfahren in einem Rechtszug mitgewirkt hat, auf dessen Dauer der Entschädigungsanspruch gestützt wird; - 8.
in Sachen, in denen er an einem Mediationsverfahren oder einem anderen Verfahren der außergerichtlichen Konfliktbeilegung mitgewirkt hat.
(1) Die Parteien können vorbehaltlich des Absatzes 3 ein Verfahren für die Ablehnung eines Schiedsrichters vereinbaren.
(2) Fehlt eine solche Vereinbarung, so hat die Partei, die einen Schiedsrichter ablehnen will, innerhalb von zwei Wochen, nachdem ihr die Zusammensetzung des Schiedsgerichts oder ein Umstand im Sinne des § 1036 Abs. 2 bekannt geworden ist, dem Schiedsgericht schriftlich die Ablehnungsgründe darzulegen. Tritt der abgelehnte Schiedsrichter von seinem Amt nicht zurück oder stimmt die andere Partei der Ablehnung nicht zu, so entscheidet das Schiedsgericht über die Ablehnung.
(3) Bleibt die Ablehnung nach dem von den Parteien vereinbarten Verfahren oder nach dem in Absatz 2 vorgesehenen Verfahren erfolglos, so kann die ablehnende Partei innerhalb eines Monats, nachdem sie von der Entscheidung, mit der die Ablehnung verweigert wurde, Kenntnis erlangt hat, bei Gericht eine Entscheidung über die Ablehnung beantragen; die Parteien können eine andere Frist vereinbaren. Während ein solcher Antrag anhängig ist, kann das Schiedsgericht einschließlich des abgelehnten Schiedsrichters das schiedsrichterliche Verfahren fortsetzen und einen Schiedsspruch erlassen.
(1) Gegen einen Schiedsspruch kann nur der Antrag auf gerichtliche Aufhebung nach den Absätzen 2 und 3 gestellt werden.
(2) Ein Schiedsspruch kann nur aufgehoben werden,
- 1.
wenn der Antragsteller begründet geltend macht, dass - a)
eine der Parteien, die eine Schiedsvereinbarung nach den §§ 1029, 1031 geschlossen haben, nach dem Recht, das für sie persönlich maßgebend ist, hierzu nicht fähig war, oder dass die Schiedsvereinbarung nach dem Recht, dem die Parteien sie unterstellt haben oder, falls die Parteien hierüber nichts bestimmt haben, nach deutschem Recht ungültig ist oder - b)
er von der Bestellung eines Schiedsrichters oder von dem schiedsrichterlichen Verfahren nicht gehörig in Kenntnis gesetzt worden ist oder dass er aus einem anderen Grund seine Angriffs- oder Verteidigungsmittel nicht hat geltend machen können oder - c)
der Schiedsspruch eine Streitigkeit betrifft, die in der Schiedsabrede nicht erwähnt ist oder nicht unter die Bestimmungen der Schiedsklausel fällt, oder dass er Entscheidungen enthält, welche die Grenzen der Schiedsvereinbarung überschreiten; kann jedoch der Teil des Schiedsspruchs, der sich auf Streitpunkte bezieht, die dem schiedsrichterlichen Verfahren unterworfen waren, von dem Teil, der Streitpunkte betrifft, die ihm nicht unterworfen waren, getrennt werden, so kann nur der letztgenannte Teil des Schiedsspruchs aufgehoben werden; oder - d)
die Bildung des Schiedsgerichts oder das schiedsrichterliche Verfahren einer Bestimmung dieses Buches oder einer zulässigen Vereinbarung der Parteien nicht entsprochen hat und anzunehmen ist, dass sich dies auf den Schiedsspruch ausgewirkt hat; oder
- 2.
wenn das Gericht feststellt, dass - a)
der Gegenstand des Streites nach deutschem Recht nicht schiedsfähig ist oder - b)
die Anerkennung oder Vollstreckung des Schiedsspruchs zu einem Ergebnis führt, das der öffentlichen Ordnung (ordre public) widerspricht.
(3) Sofern die Parteien nichts anderes vereinbaren, muss der Aufhebungsantrag innerhalb einer Frist von drei Monaten bei Gericht eingereicht werden. Die Frist beginnt mit dem Tag, an dem der Antragsteller den Schiedsspruch empfangen hat. Ist ein Antrag nach § 1058 gestellt worden, verlängert sich die Frist um höchstens einen Monat nach Empfang der Entscheidung über diesen Antrag. Der Antrag auf Aufhebung des Schiedsspruchs kann nicht mehr gestellt werden, wenn der Schiedsspruch von einem deutschen Gericht für vollstreckbar erklärt worden ist.
(4) Ist die Aufhebung beantragt worden, so kann das Gericht in geeigneten Fällen auf Antrag einer Partei unter Aufhebung des Schiedsspruchs die Sache an das Schiedsgericht zurückverweisen.
(5) Die Aufhebung des Schiedsspruchs hat im Zweifel zur Folge, dass wegen des Streitgegenstandes die Schiedsvereinbarung wiederauflebt.
(1) Das Oberlandesgericht, das in der Schiedsvereinbarung bezeichnet ist oder, wenn eine solche Bezeichnung fehlt, in dessen Bezirk der Ort des schiedsrichterlichen Verfahrens liegt, ist zuständig für Entscheidungen über Anträge betreffend
- 1.
die Bestellung eines Schiedsrichters (§§ 1034, 1035), die Ablehnung eines Schiedsrichters (§ 1037) oder die Beendigung des Schiedsrichteramtes (§ 1038); - 2.
die Feststellung der Zulässigkeit oder Unzulässigkeit eines schiedsrichterlichen Verfahrens (§ 1032) oder die Entscheidung eines Schiedsgerichts, in der dieses seine Zuständigkeit in einem Zwischenentscheid bejaht hat (§ 1040); - 3.
die Vollziehung, Aufhebung oder Änderung der Anordnung vorläufiger oder sichernder Maßnahmen des Schiedsgerichts (§ 1041); - 4.
die Aufhebung (§ 1059) oder die Vollstreckbarerklärung des Schiedsspruchs (§§ 1060 ff.) oder die Aufhebung der Vollstreckbarerklärung (§ 1061).
(2) Besteht in den Fällen des Absatzes 1 Nr. 2 erste Alternative, Nr. 3 oder Nr. 4 kein deutscher Schiedsort, so ist für die Entscheidungen das Oberlandesgericht zuständig, in dessen Bezirk der Antragsgegner seinen Sitz oder gewöhnlichen Aufenthalt hat oder sich Vermögen des Antragsgegners oder der mit der Schiedsklage in Anspruch genommene oder von der Maßnahme betroffene Gegenstand befindet, hilfsweise das Kammergericht.
(3) In den Fällen des § 1025 Abs. 3 ist für die Entscheidung das Oberlandesgericht zuständig, in dessen Bezirk der Kläger oder der Beklagte seinen Sitz oder seinen gewöhnlichen Aufenthalt hat.
(4) Für die Unterstützung bei der Beweisaufnahme und sonstige richterliche Handlungen (§ 1050) ist das Amtsgericht zuständig, in dessen Bezirk die richterliche Handlung vorzunehmen ist.
(5) Sind in einem Land mehrere Oberlandesgerichte errichtet, so kann die Zuständigkeit von der Landesregierung durch Rechtsverordnung einem Oberlandesgericht oder dem obersten Landesgericht übertragen werden; die Landesregierung kann die Ermächtigung durch Rechtsverordnung auf die Landesjustizverwaltung übertragen. Mehrere Länder können die Zuständigkeit eines Oberlandesgerichts über die Ländergrenzen hinaus vereinbaren.